Ci vorrà un bel po’ perché il Vicenza si rimetta in piedi. Perché al fallimento sportivo, ovvero alla retrocessione in C (o Lega Pro che dir si voglia) si accompagna l’incognita del futuro societario.
Il pareggio (0-0) con la Reggina, nel match casalingo che richiedeva una vittoria per portare i biancorossi a raggiungere i playout, ha rappresentato la pietra tombale non solo su un campionato, ma su tante – troppe – stagioni vissute con l’acqua alla gola. E la catastrofica conclusione chiama in causa tutti, dalla gestione dell’area tecnica e amministrativa a chi è sceso in campo, fino all’assenza di una proposta economica di acquisizione e rilancio del club che nascesse da una iniziativa imprenditoriale del territorio.
Di fronte a uno scenario oscuro, resta la sensazione che gli unici a non meritare quanto è accaduto siano i tifosi di città e provincia, accorsi con partecipazione al Menti fino alla giornata della resa.
È questo l’unico patrimonio sul quale in questo momento si può contare, ed è particolarmente malinconico notare che oggi si affermano – o si confermano – sulle ribalte calcistiche della serie A squadre con un seguito di appassionati ben più esiguo (vedi il neopromosso Sassuolo, o il Chievo).
Evidentemente, sono compagini sorrette da una strategia societaria – risorse economiche comprese – all’altezza dei tempi. Tempi che possono piacere o meno, specie agli appassionati del calcio di una volta, ma che questi sono. E con i quali bisogna saper fare i conti.
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