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MA COSA VUOLE MONTI? CHE GLI PORTIAMO LE CHIAVI DELLE IMPRESE?

La spending problems del nostro Paese e le scelte solo annunciate

di Giuseppe Sbalchiero

La spending problems di casa nostra

  • 2.384.808:in euro all’ora, la velocità di crescita della spesa pubblica italiana
  • 5,1: in punti di PIL, la crescita della spesa corrente primaria in Italia tra il 2000 e il 2012
  • 18,4: i miliardi all’anno di minore spesa pubblica se l’Italia avesse ridotto la spesa primaria come la Germania nel periodo 2003-2007
  • 9,2%: l’intervento di spending review attuato dal Governo a maggio in rapporto all’incremento delle entrate del 2012
  • 28: le tipologie di sprechi della PA individuate dal ministro Giarda
  • +35%: crescita della spesa pubblica per acquisto di beni e servizi in dieci anni
  • 180: i giorni medi di pagamento della PA
  • 120%: la maggiore lunghezza dei tempi di pagamento del Servizio Sanitario Nazionale nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord
  • 18,9: in punti di PIL, la differenza tra la spesa per welfare per anziani (20,3%) e la spesa per le famiglie (1,4%)
  • 1.925: la distanza in km tra Napoli e Londra: si può coprire mettendo uno dopo l’alto i 5,5 milioni di fascicoli dei procedimenti civili pendenti nei tribunali
  • 0,4%: la maggiore quota sul PIL della spesa per dipendenti pubblici in 11 anni. Scende, invece, dello 0,5 in Germania e dello 0,1 punti in Eurozona
  • 7: le regioni in cui la spesa procapite per burocrazia dei Comuni eccede la media nazionale del 20%
  • 303: il costo annuale in milioni di euro determinato dalla crescita del 9,5% dell’assenteismo dei dipendenti pubblici
  • 28%: la quota di imprenditori artigiani che indicano un incremento del fenomeno della corruzione
  • 24,1%: la maggiore crescita rispetto al tasso di inflazione dei prezzi dei servizi a regolamentazione locale in 15 anni
  • 163,5: i miliardi di maggiore spesa pubblica relativa ai 15,7 anni di minore presenza al lavoro dei baby-pensionati
  • 531.752: le baby-pensioni concesse a soggetti con età inferiore a 50 anni

Fonte Ufficio Studi Confartigianato

Tanto per non parlare a casaccio, per essere concreti, per partire dai dati (decisamente un repertorio suggestivo, anche se non certo esauriente) abbiamo voluto giocare un po’ sul titolo, riferendoci a manovre, “manovrine”, buoni propositi, scelte all’insegna del rigore e altre amenità di questo momento italiano.
Ecco, quindi, una rapida rassegna della spending, non tanto review, quanto problems.
Perché, come artigiani e piccoli imprenditori, abbiamo netta l’impressione che in quello che sta accadendo e soprattutto nelle scelte del Governo vi siano una o molte incongruenze di fondo, che sinceramente facciamo un po’ fatica ad inserire nelle difficoltà di applicazione delle buone volontà e delle normative, preferendo ricondurle piuttosto all’incapacità o alla non determinazione nel voler essere realmente incisivi nel combattere sprechi e spese inutili.
Insomma, siamo fermamente convinti che il Governo sia stato rapidissimo, determinato, efficiente, quando si è trattato di colpire le pensioni, ad esempio, o massacrare gli enti locali; ma non lo sia stato altrettanto per quel che riguarda gli sprechi pubblici, le lentezze, le pastoie burocratiche nell’ambito, sempre per esempio, della pubblica amministrazione.
Abbiamo netta l’impressione, confortata dai dati, che non si voglia ridurre i costi, quanto piuttosto aumentare il bilancio dei soldi necessari a pagarli. E chi li tira fuori questi quattrini? Naturalmente i cittadini e in particolare quelli che, oltre che servizi, producono soprattutto reddito, come appunto il caso dei piccoli imprenditori.
Vi è una palese contraddizione tra le volontà espresse con gli annunci e quelle rese effettuali con i decreti: le prime, che riguardano le spese dell’apparato statale e della politica, il più delle volte non vanno oltre le dichiarazioni d’intenti. Le seconde invece, quelle che colpiscono lavoratori e imprenditori, hanno una straordinaria capacità di essere prontamente operative.
A questo punto, che cosa possiamo fare? Siamo veramente stanchi ed esasperati. Di solito, in questi casi, si pronuncia una frase estrema: “consegniamo le chiavi…”. Che nello specifico significa una sfiducia e rassegnazione talmente acute da determinare la resa. Probabilmente non succederà “realmente” che gli artigiani e i piccoli imprenditori portino le chiavi a Roma, magari appoggiandole sull’uscio del Governo.
Ma metaforicamente, tale proposito ha un significato preciso: vuol dire che chi intraprende nel nostro Paese, chi ha determinato benessere e sviluppo, non ha più voglia di farlo, è deciso a mollare.
E’ questa la sensazione che quotidianamente mi coglie parlando con tanti soci di Confartigianato: la sfiducia e il desiderio di lasciare tutto.
Per l’Italia ciò è gravissimo, è la premessa del crollo. Bisogna indubbiamente arginare tale situazione, frenare la deriva: noi cerchiamo di farlo, ma i nostri strumenti sono limitati e parziali. Cominci a pensarci veramente chi lo può, il Governo. Il margine di attesa è sopportazione ormai è veramente ristrettissimo.