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“LA BATTAGLIA DEL MADE IN”

Intervista a Giuliano Secco, presidente del gruppo Abbigliamento di Confartigianato Veneto

Giuliano Secco, presidente del gruppo Abbigliamento di Confartigianato Veneto e membro del Tavolo di Concertazione del Sistema Moda del Veneto.

Una rappresentanza del Tavolo di Concertazione della Moda del Veneto si è incontrata a Bruxelles, con l’onorevole Antonio Tajani, Vice Presidente della Commissione Europea e ha scritto una lettera al ministro Corrado Passera, segnalando un problema ricorrente della tracciabilità e della garanzia del prodotto. Quali risposte avete avuto?
“Non abbiamo ricevuto molte risposte ma l’incontro che abbiamo avuto a Bruxelles ci ha fatto capire alcuni atteggiamenti che l’Europa assume nei confronti del Made in. La Comunità Europea è composta da paesi del nord Europa, tutti di commercianti. Il loro interesse verso il Made in Italy è minimo, poiché commerciando, vogliono avere la possibilità di variare nel mercato a loro piacimento. Quando la legge giunge ad un tavolo per l’approvazione, l’Italia è svantaggiata perché le percentuali delle votazioni sono tarate in relazione agli abitanti dei Paesi comunitari. Di conseguenza, il nostro Paese non riuscirà ad avere una maggioranza finché Francia e Germania non saranno dalla sua parte.”

Ha citato Germania e Francia. Quest’ultima non ha vantaggi ad avere il Made in?
“La Francia non più perché molta della sua produzione è dislocata in Tunisia o in altri paesi extraeuropei. Solo il settore francese della moda sembra essere dalla nostra parte. Proprio pochi giorni prima del nostro incontro a Bruxelles, l’onorevole Tajani aveva incontrato alcuni rappresentanti di grandi firme europee, che chiedevano la possibilità di prodotti “Made in” in risposta alle numerose richieste di mercato.”

Lei è presidente del settore abbigliamento di Confartigianato Veneto. Quali sono oggi i numeri del “sistema moda”?
“Sono numeri notevoli: 620.000 addetti nell’industria, 450.000 addetti nel commercio. Il Made in Italy rappresenta il 27,4% del valore aggiunto, e il nostro Paese ha un’esportazione che per il 12% riguarda il settore moda. Un dipendente su otto è del “sistema moda”. Il 61% che lavora nel nostro sistema è di donne. I dati ci fanno capire che in Italia il “sistema moda” è ben saldo ma vive problemi d’identità. Non possiamo più permetterci di produrre all’estero e apporre l’etichetta Made in Italy. Dobbiamo incominciare a capire chi siamo.”

Quale richiesta state formulando all’Europa?
“Che ogni capo abbia l’origine provenienza e che soprattutto il marchio Made in venga dato a chi compie tutti i processi di creazione in Italia, e non più solo a chi ne fa alcuni. Uno dei problemi del nostro Paese è che non abbiamo materie prime e quindi la nostra richiesta delimita in campo nazionale solo la lavorazione e l’ideazione. Logico è, che non essendo produttori di lana, non possiamo avere lana Made in Italy. Per avere l’etichetta Made in Italy quindi, l’ideazione e tutte le lavorazioni devono essere fatte in Italia, cosa che oggi non accade.”

Quali possono essere importanti strumenti di ausilio di questa battaglia?
“Noi come Confartigianato abbiamo depositato il marchio <100% Made in Italy>, che garantisce che il prodotto è fatto totalmente in Italia, secondo le normative vigenti .Questo è stato fatto dalla regione Marche ed ha già avuto 200 iscritti. L’etichetta comporta ai produttori dei doveri e dei parametri da rispettare. Chi non fa ciò che c’è scritto in etichetta va incontro a sanzioni penali, in sintesi chi non rispetta le regole, paga. Il marchio è depositato, è a disposizione di tutti, ma bisogna seguire un iter burocratico per ottenerlo.

Vi state muovendo quindi su due binari: uno è un codice di autodisciplina interno, l’altro è la richiesta che ciò che venga importato nei confini comunitari abbia un’etichetta dichiarata.
“Non essendo del tutto soddisfacente la risposta alla richiesta di corretta etichettatura dell’import, ci stiamo muovendo per altre vie. Cerchiamo di coinvolgere molte persone e la nostra speranza è di arrivare anche agli industriali. Con Confesercenti vogliamo rendere partecipi i commercianti in modo che finalmente l’acquirente finale possa essere garantito e possa sapere cosa compra.”