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Lettera aperta di Gianluca Cavion, presidente di Confartigianato Imprese Vicenza, sul rinnovo del contratto del pubblico impiego

“Le differenze sociali crescono dopo gli interventi contrattuali nel pubblico impiego che aumentano la sperequazione con chi nella pandemia non arriva a fine mese”

31 marzo 2021
di Gianluca Cavion, presidente Confartigianato Imprese Vicenza

Venti giorni fa il premier Mario Draghi e il Ministro Renato Brunetta hanno firmato con le organizzazioni sindacali un accordo, anche economico, denominato “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”.

Il commento del Premier Draghi, misurato com’è nel suo stile, è stato: “molto o quasi tutto resta da fare. Faccio l’augurio che sapremo tener fede alle premesse contenute nel piano”.
È proprio così, Presidente Draghi! Siamo all’ennesimo esborso di denaro pubblico, caricato dall’enfasi tipica dei patti, che ha scomodato paroloni di circostanza senza definire la misura del ritorno dell’investimento se non, come ha detto Lei, l’augurio che le “promesse possano essere mantenute”.
Il patto, oltre che per l’“innovazione pubblica”, è stato titolato anche per la “coesione sociale”. Ma Le pare, Ministro Brunetta, che proprio la componente più garantita, cioè il pubblico impiego, nella grave situazione pandemica che stiamo vivendo da un anno a questa parte, dovesse arrivare per prima al traguardo di una nuova sperequazione sociale?
Il patto, purtroppo, ha segnato l’ennesima “distinzione sociale” allargando il solco tra lavoratori comunque protetti con retribuzione integrale e sicurezza del posto di lavoro rispetto a lavoratori in cassa integrazione, disoccupati, partite Iva, autonomi e piccoli imprenditori, ai quali i ristori talvolta non bastano per unire pranzo e cena.
Un tempo, un rinnovo contrattuale, che peraltro ancora non scioglie i tanti nodi che ancora gravano sul pubblico impiego e sulla pesante burocrazia che affligge il Paese, sarebbe stato un atto di routine.
Oggi è invece un atto di privilegio a dispetto e beffa dei tanti che soffrono.
Forse ha ragione il giornalista Di Vico quando osserva che non è esplosa la rabbia sociale per il solo fatto che i dipendenti pubblici e pensionati equilibrano nel Paese e nelle famiglie il numero di coloro che non ce la fanno.
Ma è come la media (del pollo) di Trilussa; a qualcuno ne tocca di più e altri rimangono senza.
Questo è tempo di coesione sociale vera, non di facciata, peggio ancora se la facciata serve per coprire rinnovi contrattuali che nulla hanno a che fare con la coesione.
È tempo di destinare denaro pubblico non per aumenti delle retribuzioni di chi è meno esposto, ma per detassare chi può assumere, giovani o meno giovani, e per dare risposte più complete ed adeguate a chi non ce la fa.
Il governo in questa grave situazione pandemica, dovrebbe casomai porsi l’obiettivo di riequilibrare le aspettative di lavoro, di retribuzione, di compenso e di protezione e non allargare il solco tra privilegiati ed esposti.
È tempo infine di sbloccare la macchina dei troppi appalti pubblici fermi al palo per cavilli burocratici o per mancate riforme dei regolamenti, ancora una volta prigionieri di una visione burocratica che ci condanna all’immobilismo.
È tempo di sbloccare il lavoro nei comuni per favorire il ricorso all’Ecobonus, anche consentendo assunzioni al Nord, dove il provvedimento è richiesto.
La Costituzione recita all’articolo 3 che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”, e ancora che “la Repubblica” rimuove “gli ostacoli di odine economico e sociale” e promuove l’uguaglianza dei cittadini.
Caro Ministro il contratto per l’innovazione dell’impiego pubblico e l’inclusione sociale va nella direzione opposta.