
I 5 principali “megatrend” del prossimo futuro in Italia
“Non è vero che del futuro non si può sapere niente. Non è vero che in momenti di grande cambiamento possiamo solo chiudere gli occhi e aspettare che passi. Sono tre i nemici del nostro benessere economico: inconsapevolezza, fatalismo, inerzia. E tre gli amici: coraggio, umiltà, spirito di esplorazione. Perciò niente pessimismo o ottimismo, ma riposizionamento.
Per leggere il futuro non serve la sfera di cristallo, ma fare un esercizio di esplorazione di ciò che sta accadendo, partendo da numeri e aggiungendovi una lettura socioeconomica: un metodo che si chiama “foresight”. Una degli esperti di tale metodo, che permette alle imprese di costruire adeguate strategie e posizionare l’attività nel modo e nel tempo giusto, è Valentina Boschetto Doorley, non a caso coordinatrice scientifica e docente del Master in Future & Foresight. Metodi di anticipazione di futuro per imprese e istituzioni in partenza a novembre alla Ca’ Foscari di Venezia e aperto a imprese, istituzioni, enti e quanti fossero interessati a capire dove si sta andando. Proprio Boschetto Doorley è stata ospite di una Conversazione promossa da Confartigianato Imprese Vicenza, dopo essere già stata apprezzata relatrice alla Scuola di Politica ed Economia.
Nel partecipato incontro, l’esperta ha illustrato i 5 principali “megatrend” del prossimo futuro dandone una lettura ben calata nella realtà delle imprese, di cui possono cambiare i connotati produttivi, e nella realtà del Paese: il grande balzo dell’IA, la “silver economy”, il come gestire al meglio il lascito dei “boomers” (in termini economici), l’Italia come hot-spot del cambiamento climatico, la felicità (che non è un diritto). Ecco, allora, alcuni sguardi sulla realtà che verrà.
IN SINTESI. Benvenuti nel nuovo disordine mondiale
Sappiamo molto del contesto in cui viviamo e sulle architravi su cui si regge: certo, la situazione può spaventare e si fa fatica a mettere in fila le idee, ma d’altronde le imprese non possono fare diversamente, perché da sempre fare impresa significa decidere secondo ipotesi di futuro. Al momento siamo in una fase storica di disordine da cui deriva l’incertezza che spariglia le carte, perché le aziende hanno invece bisogno di certezze.
In metodo Foresight nasce a Copenaghen negli anni ’60 nelle grandi imprese per meglio programmarne l’attività, ma è un metodo che si può trasferire con successo anche nelle piccole realtà produttive. L’Italia, ad esempio, ha la “biodiversità” più grande del mondo in tema produttivo, con aziende che creano seduta stante, ma è tra gli ultimi Paesi a non avere chi si occupa di studiare scenari e strategie future. Eppure, esistono già tutte le informazioni, abbiamo tutti gli elementi “sotto il naso”: il fatto è che spesso non li si vogliono vedere. Il che porta a un approccio ansiogeno e a un atteggiamento del “quasi quasi torno indietro”.
I megatrend sono le architravi del presente per capire cosa sta arrivando, e questo accade in ogni periodo storico: mandano segnali, si sviluppano in lunghi lassi di tempo e poi fanno il botto; allora tutti si accorgono di cosa sta accadendo, come di un vulcano che erutta. Ma spesso è troppo tardi.
1. Intelligenza Artificiale: pronti per il grande balzo (?)
Abbiamo montato un meccanismo che cammina con le sue gambe e penetra sempre più nel nostro fare, pensare, essere. Internet è stato il primo punto di disintermediazione, con lui sono spariti sportelli bancari, agenzie di viaggio… Quando questa tecnologia è apparsa, sembrava una cosa da pazzi, per diventare poi la normalità. Accade sempre così: iniziale stupore, incredulità, poi si passa alla normalità. Lo stesso vale per l’IA, ovvero internet moltiplicato per 10. L’IA è una forma di “meta search”, una entità sintetica di intelligenza, è un mega-cervello che avvolge lo scibile e ha una capacità di azione e penetrazione altissima a tutti i livelli e in tutti i settori. Per questo è inutile ignorarla: perché anche le piccole e medie imprese dovranno, in un modo o nell’altro, farci i conti. Quanti posti di lavoro eliminerà e quanti ne creerà l’IA? Nessuno lo sa dire con certezza, ma una cosa è certa: il 59% delle mansioni (job) attuali verrà modificato. Siamo pronti a questa sfida? Perché, o collaboriamo e competiamo su questo campo, oppure verremmo sostituiti.
Fondamentale sarà, qui come in altri aspetti, la formazione: vincerà il Paese, l’impresa, che investe in formazione. Le aziende che sapranno come meglio usare l’IA spazzeranno via quelle che non lo sanno fare. Va poi tenuto conto di un rischio: la passività, ovvero una IA che da propositiva diventa impositiva. Per questo è importante conoscerla e usarla con metodo. L’IA è un super-maggiordomo, e come tale non ci sostituisce.
2. Silver Economy
L’Italia si prepara a diventare il Paese con il più alto indice di vecchiaia dell’UE. Si stanno raggiungendo livelli di longevità mai visti prima nella storia. Calano le nascite, quindi i futuri lavoratori; molti giovani emigrano; la fertilità delle donne italiane è la più bassa del mondo. Ma anche l’Europa invecchia, mentre l’Africa aumenta progressivamente la sua popolazione, la Cina invece ha scavallato ed è in declino, l’India raggiungerà tra 10 anni il plateau.
Con questi numeri, è evidente che cambia anche la composizione sociale del Paese: saranno in molti nei prossimi anni ad andare in pensione, e si tratterà di una generazione libera, curiosa, esplorativa. Nel frattempo, passiamo da una vita “trifasica” (studio, famiglia/lavoro, pensione) a una senza fasi in cui si studia tutta la vita, famiglia e lavoro “ni”, pensione “parliamone”. I 60/65enni pensionati non saranno i pensionati di qualche anno fa: hanno esperienza e denaro, tant’è che molti avviano imprese, magari realizzando un vecchio sogno, la cui percentuale di fallimento è molto inferiore rispetto a quella delle start-up avviate da giovani.
Questi cambiamenti portano a uno sviluppo della cosiddetta “silver economy” perché cambierà, ad esempio, il modo di abitare con così tante persone di una erta età, aprendo ampie opportunità per il settore dell’edilizia (e del comparto Casa in generale), dell’impiantistica e della ingegnerizzazione (con aspetti legati al risparmio energetico e alle case “intelligenti”). Senza dimentica il “turismo silver”, anche quello di natura strettamente locale: certo, gli “over 60” spenderanno qualcosa meno, ma viaggeranno di più. Di servizi alla persona, poi, non ce ne sarà mai a sufficienza, e quindi anche le aziende di questo comparto possono fare molto. Inoltre, c’è la “pet economy”, ovvero tutto quello che ruota intorno agli animali da compagnia e al loro benessere.
Infine, cambiano la distribuzione antropica (più case lontane dalla città), la finanza e la sua gestione. Di qui la necessità di una alleanza intergenerazionale.
3. Sulla soglia di una opportunità unica, epocale e irripetibile per il nostro Paese
Nei prossimi anni, oltre 2,300 miliardi di euro passeranno di mano, trasferiti dalla generazione dei Boomers alla Generazione X e successive. Una opportunità che non tornerà mai più. È un’occasione epocale per indirizzare l’utilizzo di tale “bottino” verso usi produttivi, piuttosto che farlo rimanere ricchezza sterile, ovvero solo di rendita, e quindi verso usi che creano valore, rinnovando il nostro impianto economico e sociale. Ma non c’è un rischio di svendita, quando si tratti di immobili? Dipende da dove sono. Se si trovano nelle aree urbane, il rischio di usarli come ‘rendite’ è alto, oltre al fatto che in questi contesti anche il tessuto sociale sarà diverso; se sono invece in luoghi più “gradevoli” (e che possono permettere anche di attutire i cambiamenti climatici) il valore inevitabilmente salirà. Vedremo presto se la governance riuscirà a mettere in campo un contesto adatto o ci si adagerà sull’economia ripetitiva: per esempio, con interventi sulle abitazioni sfitte, mentre si sviluppano forme di gestione come quella della “nuda proprietà”.
4. Terre, territori e geografia antropica alla luce del cambiamento climatico
L’Italia è un “hot spot” del cambiamento climatico: cambiano le temperature di Pianura Padana, Alpi, coste, e con esse la biodiversità, le attività economiche, la geografia antropica. Incrociamo allora questo megatrend con il declino demografico e la rivoluzione tecnologica, e vediamo cosa succede. Anche in questo caso lo sviluppo andrà verso la sostenibilità ambientale (abitazioni adatte, abiti pensati per abbattere il calore) ma anche nel favorire il benessere fisico (vedi i sistemi di raffrescamento ma anche, banalmente, l’aumento di chi produce gelati…).
5. La felicità non è un diritto
L’abbiamo voluto noi, il mondo così strutturato. L’abbiamo messa in moto noi, la “gioiosa macchina” del progresso tecnologico. E siamo arrivati a voler sempre essere felici non pensando a quanto la felicità sia aleatoria, volatile, e non una condizione duratura. Spesso poi la si cerca nelle cose e non nelle relazioni, che sono invece le uniche a dare vera felicità. Come dicono le neuroscienze, è nel dare e nelle relazioni che si attivano alcune parti del nostro cervello. L’autoreferenzialità non porta alla felicità, eppure in molti pare l’abbiano dimenticato. Ogni generazione deve trovare la propria cifra espressiva, sarà poi la storia a connotarla. Attualmente, pare che i “veri felici” siano di nuovo gli “over 60”, è la cosiddetta “curva a U” in cui, dopo l’adolescenza, c’è una fase calante (tra i 35 e 50 anni) dove la vita evidentemente ci mette alla prova, e poi l’indice della felicità sale progressivamente.
Conclusioni
Ogni voce analizzata, che nasconde tanti altri indici, può spaventare, ma diventa anche una opportunità. In questo senso, le aziende devono capire che la globalizzazione oramai ha fatto la sua storia e adesso c’è necessità di rimodulare continuamente il proprio modo di fare impresa. Per questo è quanto mai importante la formazione, per capire cosa succede e traghettare verso il futuro. Basta pensare cosa ha fatto l’Irlanda: da Paese povero, investendo in formazione è ora un Paese giovane, innovativo e che guarda avanti. L’artigianato italiano ha un brand e un posizionamento unico, anche perché immateriale, e che si chiama buon gusto, stile e bellezza. Su questo le aziende devono puntare, ma con occhi nuovi, guardando avanti e non indietro.
