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BIOMODA, LA SFIDA DI STEFANIA ARTIGIANA CHE SI AUTOPRODUCE

di Eleonora Vallin

Nordest Europa ha intervistato Stefania Masotto
http://www.nordesteuropa.it/stories/home_monitor/16536_biomoda_la_sfida_di_stefania_artigiana_che_si_autoproduce/#.UZne5rVM-6M

Stefania Masotto ha 44 anni. E’ una donna. Una mamma. Una stilista. Un’artigiana. Un’imprenditrice, che da quattro anni investe per realizzare il suo sogno. Il business è complesso ma Stefania si è ritagliata una piccola nicchia di mercato pronta a sfidare l’estero. Ed è così che a luglio Biomoda sbarcherà alla fiera della moda di Berlino, per conquistare nuovi buyer oltreconfine. Partiamo dall’inizio. Stefania fin da piccola è cresciuta con la nonna, sarta per grandi atelier del lusso che qui in Veneto si nutrivano delle competenze di una filiera manifatturiera unica. Stefania crea i vestiti delle sue bambole. Poi, dai cartamodelli, realizza anche i suoi abiti. A trent’anni, impiegata in un ufficio pubblico di Verona con responsabilità manageriali nel settore del marketing e commercio esterom si accorge «che quello non è il posto giusto». Perché «lì non era considerata abbastanza». «Volevo ricostruirmi e rifare la mia immagine». E’ così che lascia tutto, anche quell’odiato «timbro del cartellino» e si iscrive all’Accademia delle Belle Arti. Corre l’anno 2000. Parallelamente, Stefania, inizia a costruirsi un vero e proprio piano industriale. Nel 2007 con una piccola eredità lasciata dalla nonna apre la sua società individuale. Nasce Biomoda. Logo verde con le iniziali «SM» e una missione precisa: fare moda biologica, senza coloranti chimici (le tinture sono a base di radici, semi, frutti e fiori), senza sprechi (ogni lembo di tessuto viene utilizzato in ricami, profilature…), solo con fibre naturali e certificate Icea, filiera made in Italy e distribuzione diretta. Stefania disegna la sua collezione, sceglie i fornitori, gestisce la filiera, cuce, taglia e stira nel suo laboratorio, vende e segue anche tutto il post vendita: piacere del consumatore finale, gestione del modello che non calza, verifica sul non venduto. E’ così che tara il suo modello di business. Biomoda ha due punti vendita, a Verona e Milano. «All’inizio mi ero adattata alle taglie della moda, quelle classiche in base alla quale tutti producono. Ma non calzavano mai. E’ così che ho ridisegnato i miei modelli e reinventato ogni taglia». Ma Biomoda fa anche su misura. I tessuti sono vari: lino, cotone, lana. Si produce anche con il bambù. L’elastan, se presente, è sempre inferiore al 5%. Le etichette sono cucite a mano. E «i miei capi odiano le lavanderie – ironizza l’imprenditrice – perché hanno bisogno di acqua». La bellezza del biologico si respira: i capi sono profumati, morbidi, naturali. Ma anche raffinati. «Perché il biologico è anche elegante non solo sano e anallergico» precisa Stefania. Si scoprono così pantaloni alla francese, a vita alta, come non se ne trovano più in commercio da anni. Giacche che cadono a figura, dalla spalla alla manica. Graziosi abiti impreziositi da rose puntellate rosse. «Quello che vince è la vestibilità, soprattutto nelle taglie sopra la 44. Chiunque si può vestire da me e sa che può distinguersi con capi che durano una vita» spiega l’imprenditrice. Altro che fast fashion. Ma non è tutto rose e fiori. «Il Veneto è stato massacrato – chiosa – è difficile trovare oggi tessitori, e soprattutto che facciano biologico». La seta viene dall’India. Chi tesse sono piccole aziende di Prato e Carpi. Per la lana, Masotto, si sposta a Biella. E la vendita? «I consumi in Italia sono fermi – spiega – e c’è anche un problema di cultura. Molte donne prendono tante cose a poco prezzo convinte di spendere poco. Ma non è così, alla fine dei conti. E oggi in poche sanno scegliere, spesso le donne si fanno scegliere. Abbiamo ceduto sullo stile noi italiani». Ecco perché il futuro è il prossimo Green Showroom di Berlino. L’obiettivo? Arrivare nelle boutique alto di gamma del Nord e Centro Europa dove la cultura della sostenibilità è maggiore. Ma i contatti sono già anche oltre Europa. «Siamo trasversali alla moda: non siamo un marchio, né una pubblicità su una rivista patinata, né un capo che sfila in passerella. Siamo una mosca bianca, l’unica azienda in Italia, dopo varie altre avventure oggi non più sul mercato, che produce in questo settore». Il mercato è da definire. Il mondo da conquistare. Stefania sorride e ripete «sono felice». L’Italia dovrebbe solo aiutarla ad assumere, defiscalizzando, un paio di collaboratrici che ha già individuato. Toglierle la pesantezza della tassa sui rifiuti che l’azienda non produce (riciclando ogni scarto). E un po’ di quelle 42 firme appena siglate per il nuovo contratto di affitto del neolaboratorio atelier in centro a Verona. Anche perché «il fatturato è sempre in crescita, ma è zavorrato da tasse e dai costi dei fornitori che – per scelta dell’imprenditrice – mai ricadranno sui consumatori finali».