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L’approccio del Direttore del CUOA per affrontare la complessità

Non “Cose dell’altro mondo”, ma “Cose dall’altro mondo”: la differenza di approccio sta in quel “dal”. E cioè non cose alternative a quelle esistenti, appunto di un altro mondo, ma cose in arrivo o già arrivate qui e con cui, bene o male, si deve fare i conti.

Il titolo del biennio del Master di formazione per i dirigenti associativi, promosso dalla Scuola di Politica ed Economia di Confartigianato Vicenza, in particolare dai Movimenti Donne e Giovani Imprenditori in collaborazione con CUOA Business School, dice subito quale sarà il filo conduttore delle lezioni: comprendere il cambiamento e affrontarlo.

A introdurre il tema è stato, nell’incontro di avvio, il prof. Alberto Felice De Toni, direttore scientifico del CUOA, trattando l’argomento centrale del corso, e di cui egli è uno dei massimi esperti: la Complessità.

Quando si parla di Complessità, la si associa spesso a incertezza, suscitando preoccupazione. Per affrontare la Complessità, invece, è necessario invece cambiare prospettiva. Questa la premessa del professor De Toni, che ha poi spiegato “come” in cinque punti. Eccoli.

  1. Pensiero complesso, azione semplice
    La Complessità è una parola che mette a disagio molte persone, mentre la semplicità è più “confortevole”. Va perciò imparata l’arte della semplicità. Un esempio sono i prodotti “user friendly”, di una semplicità d’uso appagante tanto per chi li realizza che per chi li usa.
    Ma attenzione: la semplicità è il punto di arrivo di un processo complesso, e non quello di partenza. Oggi tutti viviamo immersi nella Complessità e dobbiamo in qualche modo districarci: solo se si è consapevoli di questo, e si hanno competenze e strumenti per affrontare la situazione, si può renderla più semplice.
    Mazzini scrisse nel 1858 “Pensiero ed Azione”. Il pensiero senza l’azione è vano, l’azione senza pensiero è cieca. Se si vuole arrivare alla semplicità, perciò, si deve prima avere un pensiero complesso che si traduce poi in azione. Un esempio è lo sforzo per capire cose nuove quando si studiano per la prima volta: quando poi si capiscono, tutto diventa più facile e naturale. 

A livello aziendale, quando lancia un prodotto nuovo l’imprenditore si trova di fronte a un mercato complesso, eppure deve agire per la propria sopravvivenza. La Complessità ha quindi due lati: uno chiaro, che è l’azione, l’altro oscuro, ovvero il fatto di subirla.
Il premio Nobel italiano per la Fisica, Giorgio Parisi, spiega bene tutto ciò con lo studio degli stormi di uccelli. Perché volano in gruppo spostandosi di qua e di là tutti insieme? Per avere maggiori probabilità di sopravvivenza. Più occhi vedono meglio il predatore, e al primo segnale di pericolo si viaggia più veloci. Il volo complesso degli stormi risponde a poche e semplici regole: consapevolezza di chi sta vicino, seguire la direzione di pochi, stare alla giusta distanza, e poi si salvi chi può. Gli uccelli, in pratica, hanno generato Complessità come strategia di sopravvivenza secondo poche regole, con azioni per permettono loro di essere efficaci. 

Se vogliamo calare questa situazione nel mondo delle imprese, significa che ogni prodotto immesso nel mercato ne aumenta la complessità, a cui devono rispondere i concorrenti con altre strategie. La Complessità è perciò destinata ad aumentare.

  1. La Complessità si manifesta secondo modelli costruiti “ex post”
    La Complessità si associa a incertezza perché si esprime secondo modelli sconosciuti prima, ma che diventano evidenti poi. Noi adattiamo a fenomeni complessi dei modelli non rispondenti alla nuova situazione, perché vorremmo sempre confrontarci con situazioni secondo modelli prestabiliti, per trovare subito la soluzione. Per capire la differenza tra un modello predefinito e uno nuovo/complesso, facciamo un esempio: se devo andare da Venezia a Roma con l’aereo, conosco punto di partenza, di arrivo, rotta e tempistiche. Se un analogo viaggio decido di compierlo con l’aliante, ci sono variabili (quali la competenza del pilota, o i venti) sconosciute al momento della partenza. In pratica, nel primo caso la rotta la conosco “ex ante”, nel secondo la rotta è “ex post”, viene dopo, perché figlia del contesto. 

La tendenza a modellizzare un fenomeno per trovarne la soluzione non si adatta alla Complessità che, proprio per sua natura, non ha un modello predefinito.
Quando un’impresa lancia un nuovo prodotto non conosce la risposta del mercato, può solo fare simulazioni: poi le varianti sono tante, eppure il prodotto va lanciato (azione) per la stessa sopravvivenza dell’impresa. Solo dopo si potrà valutare cosa è andato bene e cosa male, e ritarare l’azione.
Quindi, la Complessità va affrontata non con il classico modello di “analisi, pianificazione, implementazioni” applicabile a problemi conosciuti, ma con “azione, apprendimento, adattamento”. 

  1. Agire per creare nuovi contesti e trovare soluzioni
    Come detto, spesso non si ha conoscenza del modo migliore per risolvere il problema. Eppure, nella storia evolutiva, cosa ha fatto l’uomo davanti a nuove situazioni? Ha agito, perché l’azione genera nuovi contesti e nuove situazioni nelle quali – e grazie alle quali – si possono trovare le soluzioni. Perciò, se analizzando un problema non troviamo soluzioni secondo un certo punto di vista, si deve cambiare il punto di vista. 
  1. L’azione genera apprendimento
    L’uomo, infatti, apprende fin che vive, e una organizzazione vive fin che apprende. Quando si affrontano temi complessi bisogna, usando la metafora di una studiosa, “danzare con loro”. 

In pratica adattarsi, agire, accompagnare il fenomeno secondo le proprie intuizioni, adattarsi al suo ritmo, proprio come avviene nel ballo quando a danzare sono due persone che non si conoscono. 

I mercati evolvono in maniera esogena e l’imprenditore deve cercare di intuire, capire, entrare in sintonia con loro. 

  1. L’approccio “sistemico” alla Complessità
    Secondo lo schema cartesiano, per risolvere un problema esso va scomposto fin nelle sue minime parti, quindi risolte le questioni delle sue parti e poi ricomposto. Ma se scendiamo di piano in piano, del problema avremo pezzi sempre più piccoli e poi il nulla. Per Philip W. Anderson, invece, spaccando il problema nelle sue diverse componenti si perde di vista l’essenza stessa dei fenomeni. Perciò, quando un fenomeno è composto di parti e interconnessioni, dobbiamo prendere in considerazione la questione nella sua interezza. In pratica, da un sistema cartesiano “analitico”, con i fenomeni complessi si passa a uno “sistemico”.