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Venzo (Confartigianato): “I ticket sui licenziamenti sono una tassa iniqua a carico delle aziende”

Sono stati pubblicati in questi giorni i dati sulle tendenze dell’occupazione nel terzo trimestre del 2016. Analizzando, in particolare, l’osservatorio sul precariato pubblicato dall’INPS, un dato merita particolare attenzione: l’aumento, di circa il 27% rispetto ad analogo periodo del 2015, del numero dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, i cosiddetti licenziamenti disciplinari.

“Se ci fermiamo al mero dato statistico – commenta Sandro Venzo componente della Giunta provinciale di Confartigianato Vicenza con delega al Lavoro e alla Formazione – si potrebbe essere indotti a pensare che le aziende stiano licenziando di più, per motivi disciplinari, sfruttando le ultime modifiche della normativa sui licenziamenti introdotte dal Jobs Act, che hanno di fatto limitato le ipotesi di reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo. Ma la realtà è diversa e va spiegata”.
Il dato sui licenziamenti disciplinari, infatti, va letto in stretta connessione con un altro dato: quello delle dimissioni, il cui numero si è notevolmente ridotto nei primi 10 mesi del 2016 rispetto al corrispondente periodo del 2015.
“I due fenomeni sono strettamente connessi – spiega Venzo-: per dimettersi oggi un lavoratore deve accedere personalmente, o tramite un soggetto abilitato, a un portale del Ministero e compilare un apposito modulo on line, in questo modo le dimissioni verranno convalidate. Ne consegue che, chi vuole dimettersi ma non ha la disponibilità di un pc, oppure non vuole perdere tempo per rivolgersi ai soggetti abilitati, finisce con il non presentarsi più al lavoro, costringendo di fatto l’azienda ad attivare la procedura disciplinare e procedere al licenziamento”.
Se questo meccanismo può spiegare, almeno in larga parte, l’aumento del numero dei licenziamenti disciplinari, e la corrispondente riduzione del numero delle dimissioni, c’è purtroppo un altro dato da evidenziare, che non appare nelle statistiche, ma che ha degli effetti molto negativi per le aziende: i cosiddetti ticket sui licenziamenti. In pratica una vera e propria tassa a carico delle imprese, introdotta dalla legge Fornero per finanziare la NASpI (ex indennità di disoccupazione), che impone alle aziende che licenziano un lavoratore a tempo indeterminato, di versare all’INPS un contributo che può arrivare fino a 1.500 euro nel caso di rapporti di lavoro che durano da almeno 36 mesi.
“Se applicata ai casi di licenziamento per motivi disciplinari nelle situazioni sopradescritte, oltre al danno l’azienda subisce anche la beffa -prosegue Venzo-. Infatti, l’impresa non solo deve attivare una procedura articolata per formalizzare un licenziamento non voluto, ma è costretta a pagare pure una tassa per finanziare l’indennità di disoccupazione, che lo stesso lavoratore licenziato potrà richiedere. È chiaro che un intervento normativo che elimini questa stortura è quanto mai urgente e necessario, perché non è possibile caricare sulle imprese costi per scelte addebitabili ad altri soggetti. Come Confartigianato abbiamo presentato varie istanze al Governo perché metta mano a questa ingiustizia: fino ad ora non abbiamo ricevuto risposte soddisfacenti, ma continueremo a fare pressioni per ottenere ciò che appare per le imprese un legittimo diritto.