Sfide e opportunità per le imprese vicentine della moda: i dati 2025
Dazi, concorrenza cinese, fast fashion con capi che arrivano a casa, aggirando leggi e tasse: il mondo della Moda sta conoscendo un momento difficile. Ma gli strumenti per uscirne ci sono.
Sul tema il Sistema Moda di Confartigianato Imprese Vicenza ha proposto un momento di confronto dedicato al ruolo centrale delle PMI del settore nella sfida della sostenibilità. Un evento per porre le basi e definire tra le imprese un modello di collaborazione responsabile lungo l’intera filiera, cruciale per supportare le PMI artigiane e valorizzarne il patrimonio di competenze.
Punto di partenza dell’incontro è stata la presentazione di un documento, realizzato dall’agenzia WRÅD di Matteo Ward, che evidenzia le sfide e le opportunità della transizione ecologica per le PMI della filiera del lusso della provincia di Vicenza. Il documento “Transizione ecologica: sfide e opportunità per la filiera vicentina della moda”, presentato in anteprima e unico nell’approccio, ha analizzato il settore partendo da un’elaborazione realizzata dall’Ufficio Studi di Confartigianato Vicenza a inizio 2025.
I dati
L’Ufficio Studi di Confartigianato Vicenza ricorda che nel II trimestre 2025 a livello nazionale hanno chiuso 11 imprese ogni giorno, però è anche vero che ogni giorno hanno aperto quasi 9 nuove aziende. Dai dati vicentini e veneti, nonostante un saldo tra iscrizioni e cessazioni negativo, si rileva un forte dinamismo del comparto artigiano: a Vicenza delle 45 nuove imprese della Moda, 41 (pari al 91,1%) sono artigiane e l’artigianato rappresenta il 46,9% del totale imprese della Moda (908/1.935). Quanto all’export, nei primi 6 mesi del 2025 quello vicentino (abbigliamento, tessili e pelle) è calato del 4,3%, in leggera attenuazione rispetto al trend del 2024, che era pari a -6,2%.
Nello stesso periodo, l’import del settore è rimasto stabile (-0,1%), mentre è in espansione l’import dalla Cina, che segna un +19,6%, anche se si tratta di un “rimbalzo”, visto che nel 2024 l’import dalla Cina del settore Moda era crollato del -17,6%. Resta comunque negativo il saldo commerciale (export-import) con la Cina per il settore Moda, pari a -42,7 milioni di euro negli ultimi 12 mesi (luglio 2024-giugno 2025), in particolare per l’abbigliamento (-62,6 milioni di euro) e tessile (-23,7 milioni di euro), mentre il saldo per la pelle è risultato positivo (+43,6 milioni di euro).
I temi sul tappeto
Che il settore stia attraversando un momento difficile è indubbio, complice anche un cambio di consumi del cliente finale. Lo ha ricordato anche Moreno Vignoli, presidente della Federazione Moda di Confartigianato Veneto, ribadendo l’importanza di una politica industriale che metta al centro la manifattura. Non è mancato l’accenno al fatto che, talvolta, comportamenti poco corretti di alcuni grossi brand vanno a incidere sulla credibilità dell’intero comparto, che invece ha la qualità e la credibilità necessarie per ripartire. Luca Bortolotto, presidente del Sistema Moda di Confartigianato Vicenza, ha ribadito l’importanza delle filiere e dei distretti, ma anche di una educazione del consumatore. Quindi, ha concluso, più che cercare colpevoli vanno stimolate opportunità, partendo proprio dalla qualità di materiali e lavorazioni del settore moda italiano e vicentino.
In uno dei due talk si è infatti parlato di come agire, delineando “La filiera del futuro: un percorso condiviso”: ovvero un invito a immaginare un futuro in cui la filiera della moda si rigenera come un ecosistema dinamico. Attraverso la contaminazione tra saperi, tecnologie e culture, si potrà capire meglio come riconnettere il settore con i bisogni reali delle persone e costruire un percorso verso un futuro più sostenibile.
Moda e sostenibilità
Capi a pochi euro che in un click arrivano a domicilio. Ma il consumatore, spesso giovane che sceglie gli abiti in base allo stile del momento, raramente si chiede come possa essere venduto un capo di abbigliamento a così basso costo. È il grande tema della sostenibilità, intesa non solo in senso ecologico, ma anche sociale ed economico. Dietro a ogni capo ci sono una serie di voci che ne compongono il prezzo: dal costo lavoro, ai materiali, alla filiera, agli investimenti degli imprenditori. Ecco allora che un capo che ha un prezzo finale più alto vuol dire anche qualità e salubrità dei materiali (che si traducono in salute di chi li indossa), rispetto per l’ambiente, delle norme e delle regole di lavoro.
In questo contesto, è stato ricordato nel convegno dall’euro parlamentare Alessandra Moretti, nasce il concetto di ecodesign, la parte meno contestata del Green Deal, che si traduce nel pensare e realizzare prodotti quanto più possibile duraturi, riparabili, riutilizzabili e riciclabili. Tra gli strumenti, il ‘passaporto digitale’ del prodotto può mettere il consumatore nelle condizioni migliori per conoscere e scegliere cosa acquistare. Tutto questo nasce da un lavoro fatto con imprese sia dell’industria che dell’artigianato, proprio nell’ottica di filiera del settore. Anche perché, è stato ricordato, i criteri ESG sono sempre più tra i fattori discriminanti per gli istituti di credito nel rilascio di finanziamenti, criteri il cui iter può ‘spaventare’ ma che molte imprese, come ha ricordato Bortolotto, già adottano pur non essendo ‘codificati’.
Il nocciolo della questione è accompagnare le PMI in questo percorso. Per Ward, serve una redistribuzione del valore lungo tutta la filiera; questo, accanto a una politica di incentivi e supporti, permetterebbe migliori condizioni economiche all’artigianato per investimenti mirati alla sostenibilità.
