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Decreto sostegni bis e ristori: quanto e per chi?

“Pochi e per pochi”. Di nuovo i criteri di erogazione andavano studiati meglio, così come l’entità delle risorse messe a disposizione.

Dopo i Ristori in aprile, il “bis” del Decreto Sostegni ha riaperto il canale telematico per inoltrare la domanda del contributo a fondo perduto a favore delle attività produttive. La misura prevede nuove condizioni per accedervi, tenendo conto dei rinnovati periodi di stop. Confartigianato Imprese Vicenza, che accompagna i soci anche nella compilazione e nell’invio dell’istanza per accedere ai fondi e che ha sempre monitorato la situazione dall’inizio della pandemia, in merito ai Ristori ha elaborato con il proprio Ufficio Studi i dati in suo possesso, per capire l’impatto dell’emergenza sanitaria nei vari settori e l’effettiva ricaduta del contributo a sostegno del mondo produttivo. Il risultato? Delusione.

L’elaborazione è stata realizzata ad aprile 2021 prendendo in considerazione 2.175 imprese dei settori Alimentazione, Artigianato Artistico, Benessere, Casa, Comunicazione, Legno e Arredo, Mobilità, Moda e Produzione. La misura di aprile prevedeva, come condizione per accedervi, un calo di fatturato medio mensile nel 2020 almeno pari al 30% rispetto al 2019.
Complessivamente è risultato che il 22,3% delle imprese avevano diritto ad accedere ai ristori, lasciando escluso un altro 45,8% che aveva subito perdite senza arrivare però al 30% richiesto.
Secondo il presidente della Confartigianato vicentina, Gianluca Cavion, “quel dato ha confermato le nostre impressioni: per chi ha subito perdite consistenti i ristori proposti serviranno a malapena a coprire le spese. Nel contempo una grande fascia di aziende, che ha comunque subito un calo di fatturato, non può accedere ai ristori perché c’è un requisito unico. A nostro avviso questo non va bene perché, a parte una fetta di imprese che potrebbe aver registrato un trend negativo per motivi interni, di sicuro anche un calo tra il 20 e 30% del fatturato è stato imputabile agli effetti della pandemia e dei relativi provvedimenti per arginare il contagio. Quindi, i criteri di attribuzione del ristoro andavano studiati meglio, magari con un sistema a scaglioni”.
Entrando nel dettaglio dei diversi sistemi produttivi, si nota che una parte consistente (48,5%) di Ristoranti e Bar, produttori di Alimenti vari e Pasticceri e Gelatieri, non potranno chiedere i ristori. Si tratta di realtà come pizzerie d’asporto che hanno sempre potuto lavorare, o di attività che hanno pagato la ridotta mobilità delle persone e l’annullamento di cerimonie e ricorrenze, non raggiungendo però numeri e cifre del periodo pre-pandemia. Anche molte delle imprese del settore Benessere quali Estetica e Acconciatura sono escluse dai ristori (rispettivamente il 71,4% e il 68,4%) per l’effetto del continuo “stop and go” delle loro attività, che si sono fermate nel primo lockdown, nelle festività pasquali 2020/2021 e a Natale 2020: periodi di lavoro importanti, compensati in parte dai momenti di apertura ma non in modo sufficiente per una tenuta economica delle attività.
Passando al sistema Legno e Arredo, a pagare di più è proprio il settore dell’Arredo (ammessi ai ristori il 28% delle imprese su un totale del 70% in perdita), flessione legata probabilmente a un motivo logistico e di ‘prudenza’ dei clienti, visto che chi deve montare i mobili necessariamente entra in casa e rimanervi per ore. Per i Serramentisti la percentuale complessiva delle imprese in perdita è del 54,2%, un andamento leggermente migliore e legato agli incentivi per il rinnovamento delle abitazioni.
Numeri a picco, e prevedibili, per alcune attività che hanno pagato l’effetto Covid-19 anche quando norme e decreti allentavano le restrizioni: il 2020 è stato davvero un anno nero per Trasporto persone, Auto-bus Operator e Noleggio auto con conducente (83,3% in perdita, di cui il 50% ristorabile) che hanno visto cancellare dai calendari gite, uscite, fiere, visite; per i Meccanici/Carrozzieri (74% in perdita, di cui il 15% ristorabile) che, a causa degli spostamenti ridotti e dello “smart working”, hanno avuto ben pochi clienti disponibili a pagare per interventi sugli autoveicoli differibili nel tempo; per la Moda (79,5%  in perdita, di cui il 46,6% ristorabile) e l’Artigianato Artistico (77,6% perdita, di cui il 49% ristorabile), considerato che occasioni per acquisti di capi nuovi ce n’erano davvero ben poche, così come l’acquisto di prodotti tipici artigianali, particolarmente apprezzati all’estero e dai turisti, ovviamente spariti. Infine, il Sistema Comunicazione (66,7% in perdita, di cui il 24,1% ristorabile), nel quale risultano particolarmente colpiti i Fotografi, la cui professione è legata in gran parte alle cerimonie. 

“Ribadiamo – prosegue Cavion – che la misura dei ristori andava studiata meglio, non stabilendo numeri e cifre ‘fisse’ ma creando un sistema che tenesse conto delle diverse realtà che compongono anche il mondo dell’artigianato. Dall’altro lato, per operazioni come queste, pur nella consapevolezza che alcune attività già in crisi hanno ricevuto dal Covid il colpo di grazia, servono risorse adeguate e non poche. Con amarezza vediamo invece che ancora molti denari sono destinati a misure di tipo assistenzialistico. Penso al reddito di cittadinanza e a quanti ne hanno fatto un vero e proprio ‘stipendio’: credo che parte di quei soldi sarebbero meglio investiti se destinati a chi può creare lavoro e dare dignità alle persone, ovvero le imprese. Per non parlare del ‘cash back’, sul quale abbiamo più volte espresso il nostro più fermo dissenso”. 

Invece, conclude Cavion, “dev’essere chiaro che le imprese sono l’asset della comunità, creano benessere e sono il motore delle realtà in cui sono collocate. Solo offrendo a esse la possibilità di avere margini per crescere, investendo nel lavoro, nella formazione e nell’innovazione, si gettano infatti le basi per una fase espansiva trainata dal loro valore aggiunto”.