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Due mostre d’arte vicentine con protagonisti Pianezzola e D’Agostini

Pompeo Pianezzola e Maurizio D’Agostini sono i protagonisti di due mostre che consentono di apprezzare quanto la lavorazione creativa della materia (argilla per la ceramica, pietra, bronzo e altri metalli) consenta di far scaturire, dalla sapienza “artigianale” e manuale, esperienze di grande arte contemporanea.

L’omaggio di Bassano a Pompeo Pianezzola

Fino al 7 settembre, è il Museo Civico di Bassano del Grappa a ospitare, in occasione del centenario della nascita, la retrospettiva di uno dei più importanti artisti veneti del secondo Novecento. La mostra “Pompeo Pianezzola (1925-2012)” ricostruisce infatti in chiave antologica la vita e il percorso di questo protagonista indiscusso del rinnovamento dell’arte ceramica, che è stato anche artista a 360 gradi, partecipe dei contesti delle neoavanguardie, nonché grafico e designer ad ampio spettro. Promossa e organizzata dal Comune e dai Musei Civici di Bassano col patrocinio della Regione del Veneto, curata da Nico Stringa, la mostra si propone di ricostruire l’intera parabola creativa dell’autore, dai dipinti giovanili alle prime ceramiche, dai grandi e celebri “Scudi” in maiolica alle “Opere moltiplicate”, dai “Libri d’artista” fino al suo “Omaggio a Canova”. Un percorso di undici sezioni tematiche e circa 120 opere esposte, tra cui ceramiche, dipinti, disegni e incisioni, che documenta tutte le tappe che hanno portato il giovane talento di Nove a confrontarsi con i maggiori artisti della sua epoca – da Burri a Fontana, da Melotti a Valentini – e a interpretare le aspirazioni e le inquietudini della cultura italiana a partire dagli anni del boom economico fino alle soglie del nuovo secolo, in costante rapporto con le più importanti correnti artistiche coeve.

Pompeo Pianezzola nasce a Nove nel 1925 e già in giovanissima età, a soli 14 anni, comincia la sua attività da ceramista come apprendista all’interno della Manifattura Antonibon Barettoni. Frequenta, negli stessi anni, la Regia Scuola d’Arte di Nove, oggi Istituto d’Arte Giuseppe de Fabris, esperienza che gli risulterà fondamentale per approcciarsi a uno studio più approfondito delle arti plastiche e soprattutto per avvicinarsi ai suoi primi veri maestri, Andrea Parini e Giovanni Petucco. Successivamente si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ha modo di respirare un ambiente culturale libero e in pieno fermento come quello del dopoguerra, e insegna all’Istituto d’Arte di Nove dal 1945 al 1977, assumendone anche la direzione dal 1963 al 1968.
Nella fase iniziale della sua carriera il medium principale con cui Pianezzola sceglie di misurarsi è la pittura, in particolar modo attraverso il genere del ritratto. Proprio da questo esordio prende avvio la mostra, attraverso una galleria di dipinti ritraenti gli affetti più intimi di Pianezzola, autoritratti e soggetti di ispirazione quotidiana che introducono l’avvio del suo percorso creativo e la scoperta da parte dei più attenti e preparati interpreti della modernità, come Gio Ponti a Licisco Magagnato.
Negli anni Cinquanta, l’attività pittorica di Pianezzola si incrocia con le prime creazioni autonome in ceramica, dove è evidente il richiamo neocubista nella sperimentazione di nuove forme ritmate, traforate e leggere. Sono i primi segnali di un impegno che diventerà sempre più costante verso il design, qui orientato alla produzione artigianale di piccole ceramiche d’uso comune, o addirittura di “non-uso”, con spessori così sottili che potrebbero apparire fatti di carta o cartone.

Ma è solo al termine del decennio che Pianezzola raggiunge la piena maturità artistica, quando la stagione dell’Arte Informale è al suo apice ed egli sceglie di rinunciare definitivamente alla figurazione e alla tridimensionalità per approcciarsi all’astrazione e alla piena autonomia dell’oggetto. Raccogliendo le suggestioni del suo tempo, di cui troviamo alcuni degli esempi più noti nell’opera di Alberto Burri e Lucio Fontana, Pianezzola si affida alla materia grezza e ai processi di cottura, voltando le spalle alla tradizione in cui era immerso fin da ragazzo. Le opere più rappresentative di questa fase sono le “Ripetizioni”, i “Neri “e naturalmente i grandi e celebri Scudi in maiolica, che gli varranno la vittoria al concorso nazionale per la Ceramica d’arte Premio di Faenza nel 1963.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta l’artista si confronterà con il concetto di “replica” nelle famose serie di opere moltiplicate, e si avvicinerà al design contemporaneo per avviare ardite sperimentazioni di forme, colori e materiali, come il plexiglass e i diversi tipi di metalli. Una ricerca che lo porterà a realizzare uno dei suoi cicli più famosi, “Fluttuazioni”, e ad interessarsi al grande formato. Sul finire degli anni Settanta il maestro decide tuttavia di abbandonare questi esperimenti per riavvicinarsi a una dimensione più intima dell’opera d’arte, distanziandosi dalla modernità contemporanea e abbracciando una fase “primordiale” della modellazione dell’argilla. Focalizzandosi su un piano di lavoro più contenuto, il foglio di creta, e liberandolo da qualsiasi retaggio storico, artigianale o artistico, Pianezzola assimila il foglio di materia cruda ad antichi testi sapienziali e indecifrabili che, arrotolati, contengono segni solo parzialmente svelati all’occhio dell’osservatore. Tali pseudo-scritture altro non sono che tratti grafici che conferiscono all’opera il vago ricordo di una lingua perduta. Ispirandosi inizialmente ai rotoli di papiro, fino alla graduale realizzazione di libri-oggetto, questa fase di ricerca artistica rappresenta una delle attività più felicemente creative di Pompeo Pianezzola e il connubio definitivo tra pittura e scultura, tra modellazione e decorazione.

Risale invece al 2003 l’Omaggio ad Antonio Canova che l’artista realizza in occasione della mostra che il Museo Civico di Bassano del Grappa dedica al grande scultore. Qui il maestro di Nove utilizza le qualità “povere” della terraglia bianca per dissimulare e reinterpretare allo stesso tempo il bianco del marmo di Carrara, simulando idealmente la perfezione e le superfici levigate dei capolavori canoviani per ottenere sagome ritagliate, frammenti di panneggio scomposti con piccole sporgenze e rilievi accennati; minuti e preziosi dettagli d’oro e argento vengono poi integrati all’opera.
Durante l’ultima fase della sua carriera, l’attenzione di Pianezzola si dedica infine alla carta. Nei disegni realizzati assistiamo a un processo di rarefazione totale che, come nella ceramica, coinvolge la superficie dell’opera e i segni che la percorrono: un “ritorno alle origini” della sua passione per reperire e inventare forme, ricominciando da un foglio di carta e dalla semplice punta di una matita, per ripensare i primi passi, per rivedere l’inizio di tutto.
Il percorso espositivo della mostra è arricchito dall’originale allestimento curato da ASA Studio Albanese, che in qualità di “main sponsor” della mostra ne ha sostenuto interamente la progettazione e la realizzazione, contribuendo a inquadrare l’opera di Pianezzola in quella che l’artista chiamava “l’identità della ceramica diventata forma universale”.

La mostra “Pompeo Pianezzola (1925-2012)” è stata perciò concepita con un allestimento di grande semplicità, in accordo con la natura stessa del medium prediletto dall’artista, la ceramica, un materiale povero e primordiale trasformato in opera d’arte attraverso l’“intelligenza creativa”, come afferma Flavio Albanese. La mostra è inoltre accompagnata dal ricco catalogo curato da Nico Stringa ed edito da Antiga Edizioni.

Maurizio D’Agostini in Basilica Palladiana

S’intitola “Sulle Ali della Bellezza tra Natura e Infinito” la mostra, in programma dal 23 agosto al 9 novembre in Basilica Palladiana, dedicata all’arte di Maurizio D’Agostini. Patrocinata da Assessorato alla Cultura del Comune, Musei Civici di Vicenza e curata da Katia Brugnolo, l’esposizione allinea un centinaio di opere tra scultura, pittura e incisione, testimonianza di oltre quarant’anni di attività (1979-2023) intrapresa anche a livello internazionale.
Il percorso di visita, a ingresso libero, si snoderà tra il Salone degli Zavatteri, l’atrio e gli altri spazi al pianterreno della Basilica, proponendo anche il recupero in pubblico di una quarantina di lavori grazie al prestito di collezionisti privati. Il catalogo della mostra contiene interventi della stessa curatrice Katia Brugnolo, dell’assessore comunale alla Cultura, Ilaria Fantin, e della direttrice dei Musei Civici, Valeria Cafà. Inoltre, durante il mese di settembre, la Biblioteca Bertoliana ospiterà la presentazione del volume “Umana avventura. Pensieri e disegni dai diari 1989-2023” che Diana Lorena Camerini ha tratto dalle carte personali dell’artista.

Maurizio D’Agostini nasce a Vicenza nel 1946; quattordicenne, abbandona gli studi regolari e per quattro anni frequenta i corsi di incisione, sbalzo e disegno alla Scuola d’Arte e Mestieri di Vicenza, dove apprende i rudimenti della decorazione per l’oreficeria, approfondendo il disegno ornato. Scelta la strada dell’esperienza “sul campo”, compie il suo apprendistato di incisore-cesellatore sotto l’egida di maestri artigiani della grande tradizione vicentina. È questo fondamentale viaggio di bottega in bottega che gli consente di crescere nella tecnica dell’incisione a bulino. Nel biennio 1967-68 frequenta i corsi di pittura di Otello De Maria: un’occasione per guardare oltre i confini dell’artigianato orafo. Nel 1969 apre un laboratorio di incisione e cesello, garantendosi con l’indipendenza economica e creativa la possibilità di approfondire la propria ricerca tra artigianato e arte. Mentre compie le prime esperienze come maestro per giovani apprendisti, la sua attenzione si sposta verso il mondo della calcografia. Esegue a bulino numerose lastre d’argento e, con una serie di opere a tiratura limitata dalla Stamperia d’Arte Busato di Vicenza, riscuote i primi successi tra i collezionisti. Nel 1978, sempre a Vicenza, una mostra allo Studio Pozzan raccoglie il lavoro di questo decennio, tra incisioni su argento e calcografie. Sempre con il bulino comincia a realizzare le prime sculture: piccoli sassi scolpiti accompagnano anche una ricerca sulla modellazione della terracotta. Nel biennio 1977-79, D’Agostini diventa maestro d’ incisione a bulino per i corsi della Scuola d’Arte e Mestieri di Vicenza e il suo nome comincia ad essere apprezzato grazie alle mostre personali che realizza e alle collettive cui partecipa.

Nei primi mesi del 1982 viaggia attraverso gli Stati Uniti, soggiornando nell’isola di Assateague, in Maryland. Qui nasce l’incisione “La conchiglia di Assateague”, donata al museo dell’isola, e si apre una fertile stagione creativa, in cui anche sculture e bronzi acquistano forza piena. Nel 1984 conosce lo scrittore francese Léo Gantelet, che lo invita ad esporre ad Annecy. Questa mostra dà il via a una serie di esposizioni in numerose città francesi e svizzere e a lunghi soggiorni in Alta Savoia, Provenza, Bretagna e Normandia, durante i quali l’artista allestisce alcuni atelier per scolpire le pietre che quei luoghi gli offrono.
Nel 1987 tiene un corso di incisione a bulino presso il Centro Internazionale della Grafica di Venezia e grazie alla segnalazione di Orazio Parisotto, fondatore dell’UNIPAX (Unione Mondiale per la Pace), realizza l’incisione “L’albero della vita” (1987), immagine-simbolo della sesta edizione del concorso “I giovani incontrano l’Europa” indetto dalla Rai.
Con la scultura “Il cavaliere del futuro” (1988), realizzata per Palazzo Lares di Vicenza, prende il via un interessante sodalizio artistico con Carlo Moretti, architetto milanese. Collaborazione che proseguirà con la realizzazione di una scultura monumentale per la Galleria Crispi a Vicenza.
Gli anni dal 1991 al 1997 sono molto produttivi: dopo la mostra agli Archivi Napoleonici di Vicenza, nascono altre sculture monumentali su commissione, realizzate in pietra di S. Gottardo e di S. Germano dei Colli Berici.
Il 1994 D’Agostini lo consacra ai “Sassi del Brenta”: dei cento ciottoli che scolpisce, cinquanta vengono realizzati nell’atelier di Honfleur, in Normandia. Le cento piccole opere gli vengono commissionate dalla Balestra, antica e rinomata oreficeria di Bassano del Grappa. Seguono mostre organizzate e sponsorizzate da enti pubblici stranieri: in Svizzera, a Montreux (1991); in Francia, a Lione (1993), a cura dell’Istituto Culturale Italiano, e a Seynod (1991), dove il municipio acquista “Cursum Perficio”, scultura in pietra moscatella di Costozza dei Berici. Il 1997 si chiude con la grande retrospettiva alla Villa Cordellina Lombardi di Montecchio Maggiore, e il ‘98 inizia con una mostra nella sede dell’Associazione culturale “Le manoir de Cologny”, sulle colline di Ginevra.

Quelli che vanno dal 2000 al 2004 sono anni di approfondimento dei quesiti fondamentali dell’essere umano: il mondo interiore, il rapporto con la natura, lo sguardo verso l’universo. Dall’argilla prendono forma sculture che inaugurano una nuova fase creativa: l’artista inizia a dipingere le proprie opere con oli e acrilici, come facevano gli antichi. Intanto, la scultura “Le ali della libertà” ha un destino particolare: scoperta da una coppia di collezionisti americani, i coniugi Krupp di Boston, durante la mostra in Basilica Palladiana del 2006 e alta 38 cm all’origine, l’anno dopo diventerà, grazie all’acquisto dei Krupp, un colosso in bronzo azzurro di cm 230x360x180, del peso di 13 quintali, e col nome di “Freedom wings” abiterà nel parco della loro villa a Boston. Altra grande scultura in pietra bianca di Vicenza è “La casa del vento” per un hotel di Creazzo. Il 2008 è l’anno del “Premio Mezzalira”, manifestazione biennale: la scultura “L’uomo delle stelle” viene scelta per diventare il riconoscimento ai personaggi del Veneto divenuti famosi in Italia e all’estero.
Nasce anche la grande opera monumentale “L’ Argonauta”, portata a termine nel 2009: un colosso di bronzo alto cm 450x360x290 con un peso di 25 quintali. Dopo una collocazione provvisoria all’entrata della Fiera di Vicenza, verrà posta definitivamente all’ingresso della città di Lendinara.
Nel 2013 Veneto Banca acquisisce le sculture in terracotta patinata de “I Sette Pianeti” e con queste opere allestisce una mostra nelle sedi principali italiane dell’istituto bancario: Bari, Fabriano, Verona, Verbania, Vicenza e altre. Il 2014 è l’anno del nuovo cambiamento: D’Agostini inizia un nuovo percorso artistico, quello della pittura a olio, seguendo anche l’antica tecnica dei fiamminghi. Maurizio D’Agostini vive nella sua casa-atelier alle pendici dei Colli Berici, a Costozza, un piccolo borgo immerso nel verde, ricco di storia e di bellezza. Qui, ogni giorno persegue, attraverso lo studio e la lavorazione della materia, la sua ricerca sull’arte e sull’esistenza dell’essere umano.