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Danni di guerra

di Gianluca Cavion, presidente Confartigianato Imprese Vicenza

I nostri nonni, ovvero la generazione di coloro che certe tragedie le avevano vissute sulla loro pelle, dicevano che quando c’è una guerra si diventa tutti più poveri. Perché le guerre costano tanto, troppo, sia a chi le fa e sia a chi le subisce, a chi le combatte e a chi non vi partecipa direttamente. 

La riprova l’abbiamo avuta da quando, assurdamente, la Russia ha invaso l’Ucraina. Da allora in poi, abbiamo visto dilatarsi orribilmente morte e distruzioni, abbiamo assistito alla fuga di popolazioni inermi, palpitato per tanti profughi in cerca di riparo altrove. 

E così, mentre continuiamo a chiederci come sia umanamente possibile (ma non accettabile) tutto ciò, dobbiamo fare i conti anche con le conseguenze economiche che si sono abbattute ovunque, perché nel mondo globalizzato di oggi qualsiasi evento non rimane mai isolato.

Sì, siamo diventati tutti più poveri. Ce ne siamo accorti leggendo la bolletta elettrica e del gas, andando al distributore per fare il pieno di carburante, o al supermercato per la spesa. E se dobbiamo mandare avanti un’azienda, ce ne stiamo accorgendo ancora di più. Tant’è vero che qualcuno ha sospeso la sua attività, o sta pensando di farlo, con le inevitabili ricadute anche sul piano occupazionale. Mentre la gran parte sta cercando in tutti i modi di tenere botta, ma è difficile.

Siamo colpiti – in questo caso a seguito delle doverose sanzioni decretate a livello internazionale contro la Russia di Putin – anche nel nostro campo di eccellenza, quello dell’export: Vicenza è la seconda provincia italiana (oltre 400 milioni di euro) in termini di esportazioni verso il mercato russo, dove il Made in Italy e i prodotti artigiani sono apprezzati al punto tale che ci sono acquirenti disposti a riconoscergli un valore molto alto, vista la qualità che esprimono. Questo vale tipicamente per i prodotti del settore alimentare, il mobile, l’artigianato artistico, ma anche per non indifferenti produzioni manifatturiere. Oggi, ci sono nostre aziende che hanno ordini rimasti in sospeso, con materiali già acquistati o lavorazioni già effettuate, ci sono missioni economiche rimandate a chissà quando, a VicenzaOro i buyer russi e ucraini ovviamente non si sono visti, e intanto ci si chiede cosa provocherà nel medio periodo il deprezzamento del rublo. 

Ma i problemi, come abbiamo detto, non riguardano solo chi esporta: ogni attività di produzione e di commercio sta scontando la sua percentuale di crisi, l’inflazione rialza la testa, le materie prime – ammesso che siano disponibili come un tempo – hanno prezzi da speculazione.

Basteranno le risorse e i provvedimenti messi in campo dal Governo e dall’Unione Europea per contenere gli effetti negativi di questa tempesta? I dubbi non mancano.  

Certo, si tratta di aspetti che rischiano di apparire secondari rispetto al dramma umano venuto a crearsi, ma che rischiano seriamente di compromettere quei segnali di ripresa generale ai quali guardavamo con rinnovato ottimismo dopo due anni già impervi, quelli della pandemia.

Detto ciò, vale la pena di segnalare almeno due temi che gli eventi bellici hanno posto in evidenza, mentre il mondo da un lato sperava nella diplomazia per arrivare a una tregua e, dall’altro lato, temeva che il conflitto di allargasse.

Il primo tema riguarda l’annosa dipendenza energetica di cui soffre il nostro Paese, come del resto buona parte dell’Europa: occorre diversificare le fonti di approvvigionamento di gas e petrolio, per non correre il rischio di vederci chiudere i rubinetti da chi all’estero – come la Russia – detiene le chiavi delle maggiori forniture; occorre accelerare sulla diffusione delle tecnologie alternative e, perché no, riaprire una seria riflessione sul nucleare “pulito” e sui giacimenti di metano qui in Italia. Dobbiamo, in buona sostanza, rendere concreta la possibilità di essere più autonomi in campo energetico, vanno accorciate le filiere di produzione ed erogazione, proprio per scongiurare altri futuri scenari di incertezza. Ci vorrà un anno? Due? L’essenziale è cominciare a muoversi: siamo di fronte a una di quelle “accelerazioni della Storia” che, talvolta, sono certi eventi apparentemente impensabili a provocare e a rendere necessarie.

L’altro tema su cui è giusto soffermarsi riguarda noi come comunità di persone, come società civile. Di fronte all’ondata di profughi ucraini riversatasi anche in Italia, nel Veneto, nel Vicentino, si è venuta immediatamente a creare una catena di solidarietà dalle proporzioni gigantesche. Le associazioni di volontariato, le singole persone, hanno fatto a gara per dare soccorso, accoglienza, sostegno, per assicurare beni di prima necessità e inclusione.

Una mobilitazione che ha visto in prima fila anche tanti dei nostri imprenditori, che hanno messo a disposizione capannoni come centri di raccolta, mezzi di trasporto capaci di arrivare sino ai confini del conflitto per distribuire i materiali ricevuti dalla nostra cittadinanza e poi, magari, tornare indietro carichi di persone in fuga dalle bombe e dai combattimenti; c’è chi ha aperto le porte della propria casa, chi ha effettuato versamenti sui vari conti correnti istituiti per l’emergenza. Insomma, anche stavolta c’è stato chi ha saputo tirarsi su le maniche, e magari nel prestare aiuto e servizio agli altri ha trovato un antidoto alle sue – e tutte comprensibili – ansie personali. 

Ecco: ben sapendo come questo spirito, questa tenacia, questo “darsi da fare” siano fortemente radicati nella nostra gente, possiamo almeno confidare che saranno proprio tali caratteristiche a far sì che, cessato l’orrore, tutti noi potremo rialzare la testa e ricominciare per l’ennesima volta.