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Consigli per affrontare al meglio l’anno nuovo

La Rubrica di questo numero è curata dall’avvocato Maurizio Camillo Borra dello Studio Legale Associato BBCZ.

Gli imprenditori non sono soliti affidarsi agli oroscopi per prendere le decisioni. Ma dopo tre anni difficili è naturale credere che l’anno nuovo porti con sé notizie positive sui fronti dell’epidemia, della guerra in Ucraina, dei costi delle materie prime, dell’inflazione, sull’aumento dei tassi di interesse. Può essere che alcune di queste ‘emergenze’ si risolvano, ma nessun economista si azzarderebbe a mettere la propria firma su ipotesi o previsioni. E quindi?

ALCUNI CONSIGLI

Come si deve approcciare l’imprenditore nelle scelte gestionali relative alla propria attività? Procedere con gli investimenti in nuove tecnologie 4.0? Ampliare la rete vendita? Aggredire commercialmente nuovi Paesi? Assumere personale qualificato? Procedere con l’avvio di nuovi prodotti? Ecco alcuni suggerimenti, in particolare cinque consigli.

Primo consiglio

Per una volta, solo per quest’anno, proviamo a essere realisti, che tradotto significa pessimisti. Basiamo le nostre previsioni e la nostra operatività immaginando che: il Covid continui nelle sue varianti a diffondersi e, soprattutto con Paesi come la Cina, a impedire il normale flusso di persone e di commerci come eravamo abituati fino al 2019; che la guerra in Ucraina non solo continui ma si allarghi ad altri Paesi (Bielorussia); che il costo delle materie prima rimanga a prezzi molto alti, cioè a quelli dell’autunno 2022; che l’inflazione non scenda sotto il 9-10%; che i tassi di interesse aumentino ancora di un punto percentuale.

Secondo consiglio

Procedere nelle decisioni come se le sopraccitate circostanze rimanessero ancora per almeno i prossimi tre anni. È possibile lavorare e fare impresa in tali condizioni di stress congiunte? La risposta è: sì, ma occorre attrezzarsi. In Israele riescono a fare impresa, e a farla bene, avendo per due terzi del territorio il deserto, combattendo una guerra con tutti i Paesi confinanti da oltre 70 anni, avendo un terrorismo interno sempre da oltre 70 anni.
Quindi, il primo passo riguarda noi come imprenditori e i nostri collaboratori/dipendenti: bisogna formarsi come fossimo una generazione in guerra, non come se vivessimo nei favolosi anni Sessanta. Le risorse sono scarse e non infinte: l’energia è un bene costoso e scarso e i soldi (prestiti bancari) anche. Conseguentemente, occorre una attenzione importante e oculata ai consumi e alla gestione finanziaria. Il che significa diventare autonomi il più possibile, sia dal punto di vista energetico che dal punto di vista finanziario: così facendo andremo a sterilizzare, per non dire annullare, gli aumenti delle bollette e quelli legati ai tassi di interesse.

Terzo consiglio

Nei momenti di crisi si compra e si investe. Si comprano aziende in crisi o reti di venditori e si investe in tecnologia nuova, in efficientamento energetico, in formazione qualificata per utilizzo delle nuove tecnologie nonché per acquisizione di nuove competenze, anche linguistiche. Si investe nella ricerca e sviluppo. Ma con quali soldi? Con i propri se c’è disponibilità, ma, come criterio generale, facendo partecipare ai progetti nuovi soggetti: si può aprire il capitale delle proprie società, per esempio, a soggetti investitori (venture capital, family office, imprenditori che investono in minoranza, etc.) Inoltre esistono fondi che finanziano la formazione, la ricerca (fatta assieme ad esempio alle Università o ai centri di ricerca nazionali). L’efficientamento energetico è spesso finanziato interamente cedendo il ricavato di energia che si produce (non solo fotovoltaico, ma anche biomasse).

Quarto consiglio

La forza delle nostre aziende è che sono famigliari, ma non basta più in ‘tempo di guerra’ avere il medesimo cognome per essere assunti e comandare in azienda: servono competenze ed esperienze (in altre aziende e all’estero se possibile), non solo lauree o master. Le competenze che devono essere in capo all’imprenditore e alla sua famiglia riguardano non soltanto la produzione (che normalmente è connaturata all’essere imprenditore) ma anche la finanza, che non significa emettere e registrare fatture ma avere budget di tesoreria mensili, operare finanziariamente per riuscire ad avere il meno possibile bisogno di ‘scontare’/‘anticipare’ le fatture agendo sulle tempistiche di pagamento dei fornitori e dei clienti. Da ultimo, ma sarebbe la prima competenza: bisogna sapere acquistare bene e, soprattutto, vendere e vendere bene. Che cosa significa vendere? Comporta avere persone dedicate alla vendita, e non che siano gli imprenditori che vanno alle Fiere e basta. Sviluppare – con un progetto dedicato – anche l’e-commerce, che non è avere un sito internet! Poi, vendere bene vuol dire avere prezzo giusto e condizioni di pagamento brevi, meglio se contestuali (applicando magari uno sconto-liquidità). Determinare il prezzo giusto è una delle competenze più difficili e complesse che ci siano. Si parte sempre dal concetto che il prezzo lo determina il mercato, ma tale ‘dogma’ è solo in parte vero. Se si riesce, come spesso accade alle aziende artigiane del territorio vicentino, a realizzare prodotti di nicchia e spesso molto adattabili alle esigenze dei clienti (quindi davvero artigianali e non industriali) il prezzo lo si può anche in qualche misura ‘imporre’. Tutti sanno e verificano che i prodotti di lusso hanno non solo un mercato importante, ma in questi anni di crisi lo hanno anche aumentato. Spesso il prezzo di un prodotto di lusso ha una componente importante che non è data dal valore del manufatto (qualità della materia prima e della manifattura), ma dal “percepito” relativamente al “brand”. Lo stesso dicasi per prodotti di componentistica di macchinari, o elettrici, o tecnologici: occorre abituarsi a considerare i prodotti che si vendono alle grandi aziende come fossero prodotti di lusso, perché così si riesce a determinare il prezzo giusto.

Per iniziare, però, bisogna almeno determinare un prezzo che recuperi i costi aziendali per produrlo, a cui vanno aggiunti i costi generali con un guadagno necessario e indispensabile.

Quinto consiglio

Bisogna fatturare, sempre, e pagare le tasse e distribuirsi gli utili. Se l’azienda non riesce ad avere utili da distribuire e non riesce ad accantonare il TFR, ma utilizza entrambe le provviste per la liquidità, vuol dire che non funziona bene. Si deve superare la logica per cui l’azienda va bene quando si riesce a ‘farci’ un buono stipendio per il titolare e nostri famigliari e a pagare tutti i debiti: non basta! Una azienda deve produrre anche ricchezza per i soci. Inoltre, se produce ricchezza (che viene chiamata Ebitda positivo), si può anche pensare in futuro di poter vendere l’impresa, e venderla bene.